(La fotografia diretta senza ritocco)
Il mito della fotografia diretta: messa a fuoco nitida come linguaggio universale
Il camera reporter dà un contributo importante verso una maggiore comprensione tra i popoli di tutte le nazioni. Il reportage pittorico è il più universale di tutti i linguaggi. È uno strumento di libertà indispensabile in questi giorni in cui tante persone sono oppresse e la libertà personale è limitata in molte parti del mondo” – così disse il presidente americano Eisenhower nel 1956.
Arthur Rothstein, sosteneva in “Communication” – “La fotografia… promuove la comprensione internazionale. Ma la fotografia non è solo un mezzo: è anche un’arte. Molti artisti, che hanno padroneggiato alla perfezione i meccanismi della loro arte, stanno ora utilizzando la fotografia per esprimere il proprio messaggio e pensiero personale“;
così invece sosteneva Luther H. Evans, direttore dell’UNESCO, nel 1956. – Luther H. Evans, introduzione senza titolo, Photokina 1956 (Colonia: Photokina, 1956). – “Sebbene è sempre interessante conoscere il punto di vista del fotografo, credo che le immagini in realtà richiedano poche spiegazioni. L’immagine fotografica parla direttamente alla mente e trascende le barriere della lingua e della nazionalità“
Che la fotografia sia un linguaggio, e per giunta universale, era una metafora popolare negli anni Cinquanta. Un linguaggio del genere, come sostenevano fotografi e politici, potrebbe finalmente unire tutti i popoli del mondo perché trascende lingue, culture, religioni, posizioni politiche e ogni altra differenza. Anche se oggi questa fede nella fotografia può sembrare ingenua, nel decennio successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale essa esprimeva la speranza per un futuro migliore e pacifico. Ma non si credeva che qualunque tipo di fotografia fosse un linguaggio universale. Quando Eisenhower, Evans, Rothstein e molti altri negli anni ’50 parlavano della fotografia come linguaggio universale, probabilmente avevano in mente la fotografia “pura”, documentaristica. Questo termine è di uso popolare anche adesso.
Ma esattamente che tipo di fotografia è “diretta” e perché dovrebbe essere così universale?
La vaga idea di fotografia “diretta” inizialmente emerse come antonimo alla fotografia pittorica, o più precisamente, al pittorialismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo. La fotografia pittorialista a quel tempo era tipicamente intesa come immagini sfocate, stampe fatte a mano su carte strutturate e soggetti romantici o simbolici. La morbidezza di messa a fuoco preferita dai pittorialisti ha permesso ai loro avversari di criticare il loro lavoro definendolo “morbido”, intendendo implicitamente come effeminato, poco virile e strano. Come incarnazione delle caratteristiche opposte e positive, sostenevano immagini nitide, stampe lucide e dettagliate e soggetti prosaici e quotidiani in ambienti industriali o rurali.
La nitidezza della messa a fuoco qui, implicitamente, trasmetteva caratteristiche come mascolinità, virilità e franchezza. Si è trattato di uno scontro tra due principali paradigmi dell’estetica fotografica che, per la mancanza di termini migliori e di una comprensione teorica più profonda, sono stati discussi in metafore di genere.
Il Soft Focus come definizione dei pittorialista
Il soft focus era associato alla femminilità e quindi, non sorprende, disprezzato; mentre la messa a fuoco acuta era associata alla mascolinità e quindi celebrata. Ben presto fu dato per scontato che un’immagine con messa a fuoco nitida e una profonda profondità di campo fosse l’unico e naturale modo di fare fotografia. La parola “etero” in quanto tale non chiarisce nulla in relazione alla fotografia, ma è diventata un veicolo per tutti i tipi di qualità e ideologie. “Etero” è stato usato come espressione di mascolinità, eteronormatività e patriarcato, il termine manifestava un desiderio di chiarezza, dettaglio, obiettività, segnalava una preferenza per il materialismo rispetto alla fantasia, romanticismo o spiritualismo, una preferenza per la produzione industriale rispetto all’artigianato, o una preferenza per una profonda profondità di campo rispetto all’effetto di piattezza di un’immagine.
Di per sé, la messa a fuoco nitida, tuttavia, non è né buona né cattiva, e non significa un approccio migliore, più artistico o creativo, alla fotografia rispetto alla messa a fuoco morbida.
L’antinomia artificiale e di genere tra messa a fuoco morbida e nitida è aneddotica, ma indica differenze significative tra due principali paradigmi della fotografia emersi negli anni ’10.
Alfred Stieglitz – Pittorialista e traghettatore alla Straight Photography
La figura iconica determinante in questo scontro di genere fu il fotografo americano Alfred Stieglitz (1864-1946). Oltre ad aver realizzato alcune delle opere pittorialiste americane più note come Winter, Fifth Avenue (1893), fu anche uno dei leader dell’ambiente pittorialista di fine Ottocento, fondatore del gruppo Photo-Secession (1902-1917) e redattore della sua rivista Camera Work (1903-1917). Ma Stieglitz arrivò a rinunciare al pittorialismo con lo stesso zelo con cui lo aveva promosso. Tutte le principali storie della fotografia vi diranno che il pittorialismo come movimento artistico storico terminò intorno al 1917, con la pubblicazione dell’ultimo numero di Camera Work che Stieglitz dedicò interamente alle opere di Paul Strand (1890-1976), un fotografo americano spesso considerato essere un pioniere della fotografia “straight”.
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